Non uno di meno, nel segno della bellezza.
“Non uno di meno” titolava un bel film di qualche anno fa, ambientato in una sperduta zona rurale e povera della Cina. Non uno di meno erano gli studenti che una giovanissima supplente doveva far ritrovare al maestro titolare, al suo rientro in classe dopo di un breve periodo di assenza. Un mandato chiaro, da rispettare cominciando con il tenere la porta chiusa, per evitare che i bambini fuggissero! L’impegno assunto le costò un accidentato viaggio in città e una ricerca affannosa per ritrovare e riportare a scuola un allievo che invece da quella classe se ne era andato, costretto a lavorare per aiutare la sua famiglia: un allievo “disperso”, un drop-out, come diremmo con il linguaggio specialistico che descrive il fenomeno dell’abbandono scolastico.
Non uno di meno è l’obiettivo del nostro sistema formativo nei suoi diversi livelli, ordini e percorsi, con il diritto-dovere all’istruzione alla formazione sino ai 18 anni. Ma il suo raggiungimento resta ancora lontano come dimostrano i dati relativi alla dispersione scolastica (17,6% nel 2012, mentre il benchmark europeo fissato dall’Agenda di Lisbona chiederebbe di ridurlo almeno al 10%). Chiudere la porta non basta…
La giovane supplente era riuscita nell’impresa coinvolgendosi in prima persona; altre persone e fattori intervenienti l’avevano aiutata (persino la televisione), ma la dimensione del coinvolgimento di sé – via via crescente – era stata certamente la condizione sine qua non per il successo del “recupero”.
Di questa dimensione di investimento personale – come traspare sin dal primo fotogramma del video da cui traggono spunto queste brevi note – sono ben consapevoli alla Oliver Twist. Non potrebbe essere diversamente in questa scuola di istruzione e formazione professionale nata – non per caso – all’interno dell’esperienza di accoglienza ed educazione dell’Associazione Cometa di Como, realtà di famiglie che sostengono altre famiglie, generatasi circa venticinque anni orsono a partire da un affido, subito diventato progetto di condivisione – come racconta il principale protagonista, Erasmo Figini, al quale, proprio in virtù di questa particolare origine dell’intera avventura di vita, non piace essere chiamato il “fondatore”.
È nel solco, anzi, è dentro a questa esperienza – simbolicamente e fisicamente, dato che la sede dell’una è collocata nell’altra – che la scuola Oliver Twist, con i suoi tre indirizzi tessile/moda, legno/mobile, ristorazione, ha preso corpo, incarnando il principio – diciamolo così, per ora provvisoriamente – dell’apprendere attraverso l’esperienza, arrivando a seguire oggi circa 380 ragazzi tra i 14 e i 18 anni.
L’offerta formativa comprende corsi quadriennali di qualifica e corsi di formazione professionale, opportunità di orientamento e avvicinamento al lavoro rivolti anche a studenti drop-out, che vengono accolti e rimotivati, reinseriti in un percorso scolastico oppure avviati a una professione.
Non uno di meno è dunque, certamente, fra gli obiettivi di questo poliedrico luogo di apprendimento, nel quale questo motto non si declina solo nella dimensione del contrasto alla dispersione scolastica offrendo una “seconda chance”, ma si traduce in una azione preventiva all’abbandono formativo (inteso in senso lato sino a includere lo scarso rendimento negli studi, i fallimenti, le ripetenze…), azione che si esplicita nella promozione di una pluralità di proposte professionalizzanti, capaci di rispondere alle capacità, ai desideri e ai bisogni differenziati dei ragazzi.
Per una scuola di questo tipo, il coinvolgimento del mondo del lavoro è centrale, anzi, vitale. Non stupisce, quindi, che particolare cura sia stata prestata, sin dal suo esordio, a coltivare rapporti di collaborazione, ma potremmo dire meglio di “alleanza educativa”, con le imprese e agli artigiani locali; un’alleanza che chiama le une e gli altri a scommettere su questo progetto e ovviamente sui ragazzi ai quali offrono il proprio sapere e un cammino da percorrere insieme.
Più importante ancora di questo fitto tessuto di legami è l’approccio pedagogico, il senso attribuito al fare scuola, una scuola professionale, nello specifico, che considera l’apprendimento un’esperienza che matura attraverso il fare. È qui che si situa uno degli aspetti più originali della proposta formativa della Oliver Twist, con l’apertura al suo interno delle cosiddette “botteghe”: veri e propri luoghi di lavoro, nei quali i ragazzi imparano un mestiere, seguono l’intero processo produttivo – dall’ideazione alla realizzazione – di un bene o un servizio pensato in vista della sua potenziale (se non effettiva) collocazione sul mercato; luoghi nei quali tanto le regole da seguire quanto ogni dettaglio dell’ambiente sono quelli propri di una realtà lavorativa.
Misurarsi con un incarico calato sin da subito nel concreto di una attività di impresa è solo uno degli elementi di forza della proposta. A ciò si aggiunga il particolare rapporto che si viene a creare tra gli alunni e i docenti, più opportunamente definiti anche maestri. Ogni ragazzo, infatti, è chiamato a vivere la relazione con i docenti in modo proattivo, come opportunità per scoprire tutto ciò che è rilevante sul piano delle conoscenze al fine elaborare e realizzare al meglio un originale progetto lavorativo. Diventa così centrale la dimensione della scelta, dell’impegno personale, della decisione di mettersi in gioco, scoprendo e valorizzando il proprio talento. Ciascuno è a suo modo unico ed eccellente, come è scritto all’ingresso della scuola (e come ogni ragazzo è guardato e accolto ogni giorno!), ma a ciascuno spetta di crederci, di spendersi in prima persona, come – sempre all’ingresso – ricordano uno scimpanzé a grandezza naturale e i versi di Dante “fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
È però forse il modo di intendere il nesso tra sapere e fare, la vera chiave di volta della Oliver Twist. In un paese come il nostro, nel quale la visione gentiliana della gerarchia dei saperi e delle scienze (che poneva in alto le scienze teoretiche e ai livelli via via successivi le scienze pratiche, tecniche, produttive e professionali) continua a imprimere di sé il sistema formativo nonostante i fiumi di parole versati per superarla, il modello di apprendimento qui proposto è una “rivoluzione copernicana”. Il fare non è solo derivazione del conoscere, applicazione di un sapere appreso, ma è anche la via per conoscere; e una scuola professionale non è una “seconda scelta” per raccogliere ragazzi che non hanno particolare propensione per lo studio, ma una proposta che risponde all’innato desiderio di conoscenza che tutti hanno, solo che li si sappia e voglia accompagnare nel riscoprirlo dentro di sé.
Le imprese e gli artigiani, le botteghe, i maestri, l’approccio educativo e il modello didattico, il fare congiunto al conoscere, la responsabilità, la libertà e il talento individuale sono dunque i tasselli di una proposta formativa che non solo non vuole “perdere” nessuno, bensì vuole portare ciascuno a compiere il proprio percorso lungo strada della conoscenza. Ma è in fondo racchiusa in una sola parola la cifra distintiva della scuola; è la parola “bellezza”, che ricorre nel video e che nell’esperienza della Oliver Twist diviene sguardo che educa a guardare la realtà circostante, gli altri e noi stessi.
Sarà certo dovuto alla mia appartenenza ambrosiana se nel sentire Erasmo Figini spiegare il senso di questo sguardo mi è tornata alla mente una lettera pastorale (Quale bellezza salverà il mondo?) a me particolarmente cara, scritta dal Cardinal Martini ormai quindici anni fa. Alle soglie del nuovo millennio e del Giubileo, alla fine di un secolo “non più breve” (come lo aveva definito lo stesso Cardinale, perché a dispetto della svolta impressa dalla caduta del muro di Berlino dieci anni prima, il secolo si era “riaperto” con la guerra dei Balcani e gli odi etnici che infervoravano conflitti mai superati, con le sfide che la globalizzazione riversava sull’economia, la politica, la società sin dentro la vita delle persone), di fronte alle difficoltà e alle brutture del mondo contemporaneo, alla bellezza spettava di trovare una via per tenere insieme bontà, giustizia e verità, là dove verità e giustizia sembravano non essere più capaci di aver presa. Ma quale bellezza? Impossibile restituire qui la complessità e la profondità della lettera. Ma la domanda suona più che mai attuale; il secolo “non più breve” pare non essersi mai chiuso, con il Medio Oriente in fiamme, la crisi economica che non si risolve, il lavoro che manca, l’impoverimento che cresce,… Diversi i modi per dare una risposta, a partire da percorsi di vita quotidiana spesi nel segno del dono di sé, della condivisione, dell’apertura all’altro; percorsi che fanno della “bellezza espressione visibile del bene”. Percorsi sui quali anche alla Oliver Twist ci si può incamminare. Non sembri troppo ampia la distanza tra le difficoltà che caratterizzano il nostro tempo e i passi che si possono compiere dentro una scuola: educare al bene (e al bello) gli adulti di domani è indispensabile per costruire una società migliore già oggi.
di Rosangela Lodigiani, in racconti
Leggete l’articolo e guardate il video sulla Scuola Oliver Twist di Cometa pubblicato da Genius Loci
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